Il deserto in un bicchiere

di Claudio Trinca

Dove la natura sembra aver rinunciato a concedere i suoi favori, l’uomo ha saputo cavarsela da solo. Nel deserto, luogo più arido e più desolato del mondo, qualcuno è riuscito a coltivare la vite e ora sta producendo vino.

Il deserto di Atacama

Il SUV bianco preso a noleggio tiene bene la strada, una lingua di asfalto rovente che corre interminabile fra distese di sabbia e sale. Guardo fuori dal finestrino, il paesaggio attorno a me è quello di un altro pianeta. Mi chiedo se sono davvero solo o se dietro quei monti pietrosi si nascondano numi tutelari a governare questo immenso regno della solitudine. E di questo regno si raccontano storie misteriose che narrano di spiriti di vulcani e di civiltà aliene.

Ma il più grande mistero di Atacama resta la presenza umana. Siamo nel nord del Cile, da tempo immemorabile queste lande estremamente aride sono abitate da un popolo laborioso, uomini dalla pelle arsa dal sole e dal sale, i LikanAntay, detti anche Atacameños, i contadini della sabbia.

La luna collabora da sempre con i contadini atacameñi, influenzando le colture e la crescita delle poche piante da frutto che questa gente è riuscita a coltivare, sfruttando gli avari torrenti d’acqua che scendono giù dai ghiacciai andini. E la luna è anche regina del cielo più limpido del pianeta. Non è un caso che qui, nel deserto di Atacama, si trovino i centri astronomici più importanti del mondo.

I vulcani  Licancabur e Juriques (5.920 m)

Il villaggio oasi di Toconao

Un cartello mi segnala l’ingresso al villaggio di Toconao. Da lontano vedo poche case circondate da una corona di alberi e un torrente che l’attraversa. Ad attendermi c’è Wilfredo Cruz Gonzàlez, il presidente della Cooperativa Likanantay per la produzione del vino Ayllu. Mi accompagna nella sua vigna, nascosta fra gli alberi da frutto. Sono dentro l’oasi di Toconao, nello straordinario vigneto che Wilfredo è riuscito a creare, riprendendo una storia già iniziata dal nonno e dai suoi genitori, introducendo nuove varietà come Chardonnay, Syrah e Petit Verdot. Con un sistema di irrigazione a goccia ha ottimizzato i miseri 20 litri d’acqua al secondo che arrivano dallo scioglimento della neve andina, ricavando vino dalla sabbia più arida del pianeta. È una lotta costante contro il vento e il sole ardente.  È un atacameño, Wilfredo, ed è capace di fare tutto questo.

I vigneti mistici

Il deserto di Atacama si trova a 3.000 metri sul livello del mare, la vigna di Wilfredo è a 2.500. A queste altezze e con questa irradiazione solare, gran parte del miracolo è compiuto da quel torrente di acqua che ho visto entrando a Toconao. Lo sforzo che deve fare è enorme: in un paesaggio così secco la vite non sarebbe mai sopravvissuta, ma quel rigagnolo d’acqua l’ha aiutata ad adattarsi alle forti escursioni termiche e a una umidità media che raramente qui supera l’1%. Tuttavia, un grazie alla sabbia e a questa grande aridità bisogna dirlo: qua la vite non soffre di alcuna malattia. Il terreno, completamente sabbioso, vien fertilizzato con guano degli stessi animali che vi abitano.

Il vino Ayllu

Il termine Ayllu (comunità) si riferiva ad una istituzione inca di organizzazione del territorio. Costituiva un’unità sociale autosufficiente che raggruppava più nuclei familiari imparentati tra loro. Il termine è stato ripreso per quelle comunità andine odierne strutturate in forma cooperativistica, come la “Viñateros de Altura Likanantay” (Vignaioli di alta quota) pensata e fondata da Wilfredo Cruz, che è riuscito non senza difficoltà a convincere una ventina di piccoli produttori atacaneños a collaborare al suo visionario progetto. Oggi, su proposta e sull’esempio e di Wilfredo, circa venti piccoli produttori con le loro microscopiche vigne piantate lungo i rigagnoli del deserto collaborano al progetto Ayllu, per un totale di circa 4 ettari vitati e di appena 20 quintali di uva nel 2022.

In cantina

Entrati, subito una sorpresa: vedo silos in acciaio di produzione toscana. Per Wilfredo l’acquisto di botti d’acciaio italiane è stata una scelta per il buon rapporto qualità prezzo, seguita alla decisione di sostituire le botti in legno: l’estrema aridità dell’aria seccava eccessivamente le doghe e occorreva rabboccare di continuo. Non solo. Il legno cedeva tannini e sostante che andavano ad alterare la natura “desertica” del vino. Per salvaguardare le caratteristiche del vino Ayllu, si è dunque preferito l’acciaio e, a partire dall’annata 2022, anche le anfore di terracotta. Sempre acquistate in Toscana.

Mentre ascoltavo, tre ragazzi hanno portato in cantina alcune ceste di Chardonnay, appena raccolto. La vendemmia in Cile inizia a marzo, a febbraio per le raccolte anticipate. Lo Chardonnay è stata una sfida vinta di Wilfredo, lo ha impiantato contro ogni ragionevole criterio di viticoltura. Ha dato risultati insperati.    

Il deserto nel bicchiere

Voi come vi aspettereste un vino che “sa di deserto”? L’intervento umano in cantina è minimo, per cui questi vini riescono ad esprimere con grande naturalezza tutte le caratteristiche di questo terroir unico. Le durezze dominano, non poteva essere diversamente. L’altitudine, così come le ampie escursioni termiche, rendono la buccia delle uve più spessa e quindi c’è tannino in più che dà uno strascico di amarezza nel finale dei sorsi, ma è elegante. Nello stesso tempo, la grande salinità della terra porta sapidità in bocca.

Il bianco (un blend di Muscatel, Chardonnay e Sauvignon Gris) è assai profumato, sul filo sottilissimo dell’acetica, con sorso dritto e dissetante. Il bianco macerato (Muscatel de Alejandria) è decisamente più accattivante, il sorso è più lento per una leggera frizione tannica. Alla chiusura, la sensazione è appagante.

Il rosso (Pais, Malbec e Syrah) ha un dominante profumo di olive in salamoia, su un ricordo di frutti scuri, more e mirtilli. Al palato i tannini avvolgono, ma la freschezza risolve sciogliendo il sorso e facendolo scorrere piacevolmente. Degustato con del prosciutto de Capitàn Pastene che lo ha decisamente esaltato.

Un’esperienza unica

I vini Ayllu sono senza dubbio el desierto en una copa de vino. Rustici, nel calice ci sono i ricordi della sabbia asciutta e del vento salato. Di quelle arse lande è rievocata l’affascinante asprezza. Ora mi trovo di nuovo fra le dune e i sassi, sto lasciando il villaggio oasi di Toconao, che vedo allontanarsi nello specchietto retrovisore del mio SUV. Dentro lo zaino ho due bottiglie di vino Ayllu, per non dimenticare.

Le premiazioni

Il CERVIM, per chi non lo conoscesse, organizza il Concorso enologico Mondial des Vins Extremes, che si tiene annualmente in Val d’Aosta. Nel 2021 anche alcune bottiglie di vino Ayllu erano presenti sul tavolo dei giudici. E due di loro sono state premiate con la medaglia d’oro.

Queste sono: Ayllu Naranja 2020 (Muscatel macerato) e Ayllu Muscatel Dulce 2020.

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